Pubblichiamo un estratto del contributo di Marco Pratellesi, giornalista ed esperto di new media, inserito all'interno del libro di formazione "Il Quotidiano in Classe". Una riflessione interessante sulle trasformazioni del mondo dell'informazione ai tempi del web 2.0.
Affronteremo in questo intervento il tema del giornalismo e dei diversi modi difare informazione nella società moderna. È utile partire da un postulato: con l’avventodelle tecnologie digitali non è cambiata la professione del giornalista ma è cambiata la pratica del giornalismo, il modo cioè in cui i giornalisti, o almeno lagran parte di loro, accedono alle fonti e confezionano le notizie per i propri lettori.
Del resto nessuno metterebbe in dubbio l’unitarietà della professione medica,che pure è declinata in tante “specializzazioni”: dalla cardiologia alla neurologia;dalla ginecologia alla dermatologia. Ogni branca ha saperi e strumentipropri, pur nel quadro di una professione unitaria che ha come scopo quello dicurare e prevenire le malattie e preservare la salute delle persone.
Non diversamente dalla medicina, il giornalismo è una professione nata conun obiettivo ben preciso: informare le persone e, possibilmente, aiutarle a capire il mondo in cui vivono. Cittadini consapevoli, in grado di fare scelte utiliper la vita personale, politica e sociale, sono la base di ogni democrazia. Ecco perché non ha senso continuare a riferirsi a un giornalismo online contrapposto a un giornalismo tradizionale. Meglio parlare di un’unica professione che ha differenti forme e linguaggi per esprimersi.In questo senso il giornalista è e resta un “mediatore” che seleziona e gerarchizzale notizie (cioè le ordina secondo criteri di rilevanza) per presentarle a unpubblico di lettori che, essendo impegnati in altri lavori, non hanno il tempo per scegliere tra i tanti fatti che accadono quelli che sono di interesse pubblico e degni di essere portati in primo piano, e quelli, invece, che sono destinati arimanere sommersi tra gli accadimenti che quotidianamente arricchiscono il menù delle possibili informazioni.
Il dovere del giornalista, dunque, non è cambiato molto, nonostante le tante innovazioni che hanno interessato la professione negli ultimi decenni: dare tutte le notizie che vale la pena dare, informare, interpretare i fatti più complessi, ricostruire i contesti in cui avvengono e, quando è possibile, perché no, divertire il lettore, rispettando sempre le regole etiche e deontologiche della professione. Quello che è invece profondamente cambiato negli ultimi anni è il modo di lavorare dei giornalisti.
Le trasformazioni introdotte dai nuovi media digitali, a partire dagli anni Novanta, hanno avuto un impatto su molte professioni, ma non c’è dubbio che nel mondo del giornalismo abbiano introdotto una vera e propria rivoluzione, tanto nel modo di lavorare dei redattori, quanto nellafruizione dell’informazione da parte dei lettori.Trasformazioni analoghe si erano avute anche con l’avvento della radio e della televisione, ma il giornalismo digitale ha introdotto alcune caratteristiche sconosciute al vecchio mondo dei media analogici: la velocizzazione del ciclo della notizia, l’interattività, la possibilità di disporre di contenuti multimediali su uno stesso supporto, la personalizzazione e l’ubiquità della notizia, che ormaici raggiunge sempre e ovunque anche grazie ai dispositivi mobili, dai pc portatili ai cellulari, ai tablet. Ma il cambiamento forse più importante dell’ultimo decennio – che si è manifestato in tutte le sue potenzialità in occasione dell’attentato alle Torri Gemelle – è l’opportunità che, per la prima volta nella storia del giornalismo, i lettori hanno di partecipare al processo dell’informazione.
L’11 settembre 2001, molti cittadini, che fino ad allora avevano aggiornato i loro blog parlando di interessi e fatti personali, hanno cominciato a raccontare cosa avveniva nelle strade di New York. Questa forma di “giornalismo partecipativo” è diventata negli ultimi anni una prassi diffusa dalla quale non si tornerà più indietro. Ormai, come hanno dimostrato anche le recenti rivoltedella “primavera araba”, i social media –con Twitter, Facebook e Youtube in testa – sono diventati strumenti anche informativi che consentono a comuni cittadini di partecipare alla costruzione dell’informazione. Si tratta di “atti digiornalismo”, compiuti da persone comuni, ma che in certe circostanze possono acquisire un valore informativo anche maggiore di quello prodotto daiprofessionisti dell’informazione. [...]
Oggi, grazie al web, le notizie vivono in un perenne stato di “work in progress” dove non esiste l’ultima versione: tutto viene rinnovato, cambiato, aggiustato, perfezionato in un flusso continuo che segue in tempo reale l’evolversi degli avvenimenti.