Pubblichiamo un estratto dell'intervista a Robert Thomson, ex-direttore del The Wall Street Journal, inserito all'interno del libro di formazione "Il Quotidiano in Classe". Una riflessione interessante sulla stampa e la sua evoluzione
Mister Thomson, la sua esperienza – che copre Paesi e media così diversi – può essere utile per capire il seguente quesito: esiste, oggi, una questione “giovani e giornali”? Oppure ci troviamo di fronte a un falso allarme, e i giornali in fin dei conti non si estingueranno nel 2043, con la famosa “ultima copia del New York Times”, profetizzata nel 2004 – con il saggio The Vanishing Newspaper – dallo studioso americano Philip Meyer?
«La situazione è, come sempre accade, complessa: alcune realtà della carta stampata stanno morendo, altre no, qui negli Usa come negli altri Paesi. Il Wall Street Journal, per esempio, sta vivendo una situazione decisamente positiva. La realtà è che, a conti fatti, i giovani leggono parecchio. Il punto non è preoccuparsi di agganciarli alle edizioni cartacee, quanto piuttosto esaminare come l’audience dei mass media stia cambiando, e, in base a questo, elaborare e fornire un portfolio variegato di possibilità di lettura. Le faccio un esempio: c’è una domanda a cui stiamo cercando di fornire una risposta in questo campo, ed è che cosa possa essere fatto per incrementare il numero di giovani lettori tramite il web o i dispositivi via cavo. Be’, ci siamo resi conto che per alcuni ragazzi, la prima esperienza diretta su cosa sia una notizia avviene via iPad. E, in effetti, l’application per iPad rende la lettura molto simile a quella che si ha con l’edizione cartacea, giusto? La cosa affascinante è che proprio questo primo approccio virtuale ha spinto alcuni giovani lettori a passare dallo schermo del tablet all’edizione tradizionale. Sono stati gli stessi genitori, stupiti dal fatto che i figli all’improvviso volessero leggere per la prima volta un giornale, a registrarlo. Non so, francamente, quanto spesso questo meccanismo inverso – dal web alla carta stampata – si possa mettere in moto; di certo, però, ciò dimostra che le abitudini di lettura delle persone sono molto più complesse di quanto in genere non si creda».
Se i nuovi lettori stanno “scoprendo” il giornale tramite la Rete, che cosa possono importare i giornalisti dall’esperienza del web per rendere più appetibile la carta stampata?
«È buffo come queste due dimensioni si trovino ad interagire, oggi, con modalità assolutamente inattese… Ci stavo pensando qualche tempo fa: in inglese, c’è addirittura una differenza nei verbi che utilizziamo quando si parla di lettura su carta o su schermo. Quando ci riferiamo al web, noi “guardiamo” (look) o “sfogliamo” (browse), mentre il verbo “leggere” (to read), così come ovviamente “stampare” (to print), è spesso riservato ai media tradizionali. C’è di più: quando si parla di consultare un sito web, in inglese non si usano quasi mai i verbi al passato. Io guardo un sito, vi leggo le notizie; mentre sentiamo spesso dire “ho letto” La Stampa o il Corriere della Sera… Con Internet, la sensazione è di stare guardando l’infinito. Non lo trova affascinante? Ma mi scusi, sto divagando… Dunque, in un certo senso il web ci spinge a cercare di rendere il giornale più dinamico, più fluido, in qualche modo più semplice da leggere – senza per questo, naturalmente, rifugiarci nella chiacchiera, nel gossip. È così semplice accedere ai contenuti della Rete, che ora dobbiamo essere certi che anche il quotidiano sia semplice da “navigare”. E credo sia corretto dire che il Wall Street Journal, nella sua veste tradizionale, non era propriamente facile da approcciare, né risultava irresistibile per chi vi si accostasse per la prima volta (ride, ndr)».
E come si fa, allora, a rendere un giornale “irresistibile”, soprattutto per chi si sta avvicinando ora alla lettura della carta stampata?
«Temo che una ricetta vera e propria non esista. Quello che noi, e altri come noi, stiamo facendo, è aumentare il livello di coinvolgimento. Mescoliamo tecniche tradizionali e sperimentazione. E non si tratta semplicemente di investire sul sito: l’esperienza del Wall Street Journal, per quanto riguarda la versione online del quotidiano, è enorme (l’esordio sulla Rete risale al 1996, ndr). Ma a volte il primo approccio di un nuovo lettore può avvenire attraverso un aggregatore, come Google News, oppure Twitter; spesso è il link che un utente manda all’amico per e-mail o su Facebook… Sono tutte modalità molto moderne, usate dai giovani per condividere l’informazione. Ecco, noi più che proporre ricette, stiamo cercando di comprendere questo meccanismo nuovo: vogliamo intercettarne i ritmi, gli schemi. Chiaramente alcune tipologie di articolo, alcuni argomenti, sono in grado di generare un interesse maggiore, in particolare durante certi momenti ben identificabili nell’arco della giornata. Ad esempio, quando le persone arrivano in ufficio, la mattina: tutte le ricerche a disposizione ci hanno rivelato che all’inizio della giornata lavorativa, la grande maggioranza investe una quantità notevole del proprio tempo in “interazioni sociali” sulla Rete. Ed è una finestra temporale che coincide, guarda caso, con il momento tradizionalmente dedicato alla lettura dei giornali (cartacei o online), alla ricerca dell’informazione. Per questo motivo, al WSJ abbiamo deciso di investire su questo settore. Abbiamo giornalisti attivi su Twitter, e ovviamente teniamo sotto osservazione costante Facebook, per capire come gli utenti riutilizzino i nostri contenuti in modi diversi. Lo scopo è presto detto: trovare modalità di interazione con i social network, con lo scopo di aumentare il profitto. Abbiamo uno staff di esperti il cui compito è quello di individuare le tipologie di storie più lette dagli utenti…».