I giovani universitari italiani soffrono per la scelta, sbagliata, non sono motivati, si preoccupano per i debiti accumulati negli anni di studio, patiscono la scarsa emancipazione economica e spesso hanno nostalgia di casa se sono fuorisede. Quello che colpisce è soprattutto la percentuale di soddisfazione degli studenti italiani che è di gran lunga inferiore rispetto a quella degli studenti stranieri. In Italia parliamo di un 62 per cento che in India è un 82 per cento, in Cina 76, nel Regno Unito 75 e negli Stati Uniti 73.
Quali sono i motivi dell’insoddisfazione? Sul podio delle preoccupazioni, l’eccessivo carico di lavoro (51 per cento), la mancanza di equilibrio tra studio, socializzazione e lavoro (44 per cento) e la possibilità di trovare lavoro dopo la laurea (43 per cento). Tra i principali timori dunque c’è una qualità di vita ritenuta povera, ma anche l’idea che gli sforzi fatti non saranno adeguatamente ricompensati nel futuro a causa delle scarse opportunità lavorative, uno scarso rapporto con i professori, una vita economico-sociale troppo faticosa e poco appagante e una scarsa convinzione riguardo la scelta del percorso formativo scelto.
“Sorprende un poco la scarsa soddisfazione per il rapporto costi-benefici dell’istruzione universitaria. Le università pubbliche italiane, a dispetto di certi luoghi comuni, presentano costi di accesso fortemente contenuti a fronte di una qualità media elevata che ci viene internazionalmente riconosciuta” spiega Paolo Cherubini, Prorettore Vicario dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Mentre Michele Rostan, Delegato al Benessere Studentesco presso l’Università degli Studi di Pavia, spiega che: “I risultati dell’indagine ci segnalano che ciò che facciamo, soprattutto nei primi mesi del percorso universitario degli studenti, non sembra sufficiente per rispondere positivamente alle loro domande".
Aiuterebbe capire cosa hanno in più gli studenti più felici, a cominciare da quelli indiani, dichiaratisi molto sereni e fiduciosi. Gli spunti di riflessione sono molti, ma è anche importante pensare che ormai gli studenti cercano tante cose e che, come fa notare Loredana Garlati, Prorettore all’Orientamento e Job Placement dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, “questa analisi, vista dal lato positivo, suggerisce che lo studente non vede più l'università come un “esamificio”, ma come una comunità da cui attendere non solo qualità didattica ma anche supporto nella soluzione dei propri problemi attraverso servizi orientamento, counselling, alloggi, luoghi di aggregazione, sport et, oltre a servizi efficienti, ma su questo le università italiane hanno ancora molto da fare". Forse troppe cose? Forse gli studenti indiani e cinesi hanno meno aspettative? In tutti i casi per migliorare l’Italia bisogna partire da quell’infelicità e da quella scarsa convinzione dei ragazzi universitari.
Fonte corriere.it