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LE 5 E DELL’ENERGIA

di Caterina Bracchi

 

L’energia ci viene insegnata a scuola prevalentemente come misura fisica e questione tecnica, legata agli sviluppi dell’ingegneria su come produrla e consumarla. Ma sempre di più il tema dell’energia è entrato nel dibattito pubblico e politico, legato ad una serie di sfide che la società contemporanea è chiamata ad affrontare. Ci si rende allora sempre più conto di come, ai fattori fisici e tecnologici, si debbano necessariamente affiancare le questioni sociali. L’energia è certamente un fattore fisico che influenza, e determina, le nostre vite. Ma allo stesso modo, i nostri comportamenti, le nostre idee e percezioni influenzano il modo in cui il settore dell’energia si è sviluppato nel corso dei secoli e si svilupperà da qui in poi. In tempi recenti il consumo e la produzione di energia sono al centro di tematiche di rilevanza globale, con un’urgenza crescente per la necessità di affrontarle. I cambiamenti climatici, la riduzione delle emissioni, la transizione ad un modello di sviluppo più sostenibile ed equo, e non da ultimo la sicurezza geopolitica internazionale, sono tutte questioni tra loro interconnesse che passano inevitabilmente per il tema dell’energia. Il bisogno di cambiamento che queste sfide ci impongono non può essere affrontato come una semplice questione tecnica e tecnologica, ma richiede prima di tutto un cambiamento nella mentalità, nei comportamenti, nei valori. Insomma, una transizione che è prima di tutto nella, della e per la società. In questo senso, J. Urry, sociologo di fama internazionale, sottolinea in particolare in riferimento all’energia un importante aspetto, ovvero che “la società costituisce sia l’origine del problema che la soluzione” (Urry, cit. in Magnani 2018, p. 9). E con questo spirito vanno affrontante queste sfide.

 

Sviluppo sostenibile, cambiamenti climatici: Quale ruolo dell’energia?

Il concetto di sviluppo sostenibile, coniato dalla World Commission on Environment and Development nel rapporto Our Common Future (Brundltand 1987) – anche conosciuto come Rapporto Brundtland –, ha messo in luce a partire dagli anni ’80 del secolo scorso come il miracoloso progresso economico della seconda metà del 1900 non sia andato di pari passo con uno sviluppo altrettanto giusto o equo. Al contrario, nonostante l’incredibile crescita economica del secolo scorso abbia portato importanti miglioramenti nella qualità della vita e nel benessere delle persone, i vantaggi non sono stati equamente distribuiti né a livello geografico, né tantomeno a livello sociale e anzi le esternalità negative, sia a livello sociale che ambientale, hanno comportato un inasprirsi delle disuguaglianze, soprattutto in chiave intergenerazionale. 

In questo quadro si pone certamente il tema dei cambiamenti climatici, quella che potremmo definire anche come la più grande esternalità negativa delle attività antropiche a partire dalla rivoluzione industriale, provocata principalmente dalla scoperta delle fonti fossili di energia, come carbone, petrolio e gas naturale. Il tipo di energia prodotta da fonti fossili, avvenendo prevalentemente attraverso combustione, libera grandi quantità di gas che hanno la capacità di “intrappolare” l’energia solare all’interno dell’atmosfera, e in concentrazioni eccessive questo provoca un innalzamento della temperatura media sulla Terra. Per questa loro caratteristica, questi gas – tra cui il principale è l’anidride carbonica (CO2) – vengono definiti gas serra. Ecco allora come l’utilizzo massiccio di fonti fossili di energia negli ultimi due secoli (e che rappresentano ancora oggi l’80% dell’energia prodotta, e il 75% delle emissioni a livello globale di gas serra) (Tagliapietra 2020), sia da ritenere il principale fattore che ha comportato un innalzamento delle concentrazioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas serra nell’atmosfera, fino ad arrivare ad oggi in cui possiamo purtroppo toccare con mano gli effetti dei cambiamenti climatici. 

Ma è almeno a partire dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, che la comunità internazionale ha sviluppato un consenso sulla minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici per la società umana e gli ecosistemi naturali. A questo consenso non v'è dubbio che il primo rapporto pubblicato nel 1990 dall'IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico –  il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici) abbia fortemente contribuito. Dagli anni '90 del secolo scorso le cose sono cambiate rapidamente, sia dal punto di vista ambientale che socio-politico, e i rapporti dell’IPCC non hanno fatto che diventare più allarmanti. Iniziative più recenti e influenti a livello globale riaffermano con maggiore enfasi la minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici, e la necessità, non più posticipabile, di affrontarli attraverso strategie di mitigazione e adattamento, che richiedono l’impegno di tutti. Proprio le strategie di mitigazione sono il motore che spinge la transizione energetica, che – come si vedrà nel dettaglio – si esprime attraverso la contemporanea riduzione delle emissioni passando da fonti energetiche fossili a fonti rinnovabili, e il miglioramento delle prestazioni energetiche nei settori più energivori (come industria, trasporti e residenziale). Ma perché la transizione energetica possa avere successo, così come la transizione ad un modello più sostenibile, l’impegno, la presa di coscienza e la responsabilizzazione di ognuno è fondamentale. Questo è ciò che sta alla base del concetto di educazione energetica, un fattore fondamentale per il successo delle politiche internazionali in ambito energetico e di riduzione delle emissioni. 

 

Sviluppo sostenibile, cambiamenti climatici: Quale ruolo della società?

Come già accennato, però, la transizione ad un modello di produzione dell’energia più sostenibile è certo una questione tecnica, ma che non può prescindere da una contemporanea transizione della società. Come ricorda Papa Francesco nella Lettera Enciclica Laudato si’, uno dei più importanti manifesti ecologisti di cui disponiamo:

“Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura” (Francesco 2015, n. 139).

È questa la logica del concetto di ecologia integrale, ma anche di sviluppo sostenibile, riaffermato con grande enfasi in uno degli impegni internazionali più rilevati degli ultimi anni, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Sottoscritta nel settembre 2015 da 193 Paesi membri dell'ONU, essa comprende 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) da realizzarsi entro il 2030. Si tratta di “un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità” da raggiungere attraverso “il rafforzamento della pace universale”, che riconosce come “sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni, inclusa la povertà estrema, [sia] la più grande sfida globale ed un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile” (United Nations 2015, Preambolo).

Con riferimento al tema dell’energia, quindi, non si può prescindere dal considerare le implicazioni di giustizia ed equità legate all’accesso e al consumo di energia. Proprio su questa tematica è stato pensato l’SDG 7Energia pulita e accessibile. Assicurare a tutti l'accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni dell’Agenda 2030, che subito nel suo primo Target si propone di “garantire l'accesso universale ai servizi energetici a prezzi accessibili, affidabili e moderni”. Quello che può sembrare scontato per la maggioranza di noi, l’accesso all’elettricità e all’energia per riscaldare e raffreddare le nostre case, per cucinare e per spostarsi, è invece un problema globale (ma anche italiano) tutt’altro che risolto. Il tema della povertà energetica riguarda secondo l’International Energy Agency attualmente 1.18 miliardi di persone – ovvero il 16% della popolazione mondiale, che non ha accesso all’elettricità.

 

Conclusione

Ecco allora che le questioni di giustizia ed equità legate alle grandi, urgenti sfide del nostro tempo, del nostro ambiente e della nostra società dovrebbero portarci a realizzare che l’impegno del cambiamento è una responsabilità di ciascuno di noi. Nessuno mette in discussione il ruolo delle organizzazioni internazionali, che come si è visto hanno adottato accordi e impegni di portata storica, ne tantomeno il ruolo dei governi nazionali, che possono e devono aiutare i propri cittadini in questo percorso di transizione epocale. Ma è certo che anche ogni singolo individuo può, e deve, fare la differenza per ridurre i consumi, per aiutare il prossimo e per sostenere la Terra che abita. Molti sono i modi per poterlo fare,  e quello di diventare un ecopreneurimpegnandosi in attività di imprenditoria sostenibile, ovvero basando il proprio modello di business su principi di sostenibilità e non solo di mero profitto economico, può essere uno strumento vincente per tutti – attraverso cui garantirsi anche la sostenibilità economica. 

 

 

Bibliografia di riferimento

Brundtland, G. (1987). Report of the World Commission on Environment and Development: Our Common Future. United Nations General Assembly document A/42/427.

Francesco (2015). Lettera Enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune. Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana.

Magnani, N. (2018). Transizione energetica e società. Temi e prospettive di analisi sociologica. Milano:FrancoAngeli.

Tagliapietra, S. (2020). L’energia del mondo. Geopolitica, sostenibilità, Green New Deal. Bologna: il Mulino. 

UNFCC (2015). The Paris Agreementhttps://unfccc.int/sites/default/files/resource/parisagreement_publication.pdf