La Rai e lo sport paralimpico
di Annarita Di Battista Personal coaching, Corporate coaching, Small Business coaching
Il termine inclusione nei confronti delle persone disabili assume una valenza maggiore se pensiamo che questo concetto, molto complesso, è il risultato di un’elaborata evoluzione culturale. Infatti, l’atteggiamento culturale nella cultura greco-romana fino ai primi del 900 era l’esclusione, e, solo a metà del XX secolo, si è evoluto verso l’integrazione cioè la persona “diversa” guadagna qualcosa nel contesto dei “normali”, che a loro ricevono qualcosa da questo scambio interattivo. Quindi l’integrazione ha come presupposto ancora l’idea di adattamento del “diverso” all’ambiente dei “normali” e l’obiettivo è il raggiungimento di autonomia, socializzazione e comunicazione. Invece, l’inclusione si pone come obiettivo l’abbattimento delle barriere alla partecipazione, collaborazione e cooperazione di tutti, di modo che ciascuno, con le proprie abilità e singolarità, si senta parte integrante, attiva e apprezzata. In questo modo si fa spazio alla ricchezza della differenza, ripensando gli ambienti e le prassi in vista di un obiettivo condiviso per tutti: uno stravolgimento di prospettiva!
Con la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con la L. 18/2009, si è andato affermando, infatti, il “modello sociale della disabilità”, secondo cui la disabilità è dovuta dall’interazione fra il deficit di funzionamento della persona e il contesto sociale. Il grado di qualità della vita delle persone con disabilità dipende, quindi, in modo determinante dal contesto.
In linea con tali principi, l’International Classification of Functioning (ICF) stabilisce un modello di classificazione bio-psico-sociale basato proprio sull’interazione tra la persona e il contesto sociale, culturale e personale in cui vive.
Inoltre, la Legge104/1992, cioè la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità, ribadisce ed amplia il principio dell’integrazione, sociale e scolastica, come momento fondamentale per la tutela della dignità umana della persona ed impegna lo Stato a rimuovere le condizioni invalidanti che ne impediscono lo sviluppo, sia sul piano della partecipazione sociale sia su quello dei deficit sensoriali e psico-motori per i quali deve prevedere interventi riabilitativi.
Il contesto è una risorsa potenziale che, qualora sia ricca di opportunità, consente di raggiungere livelli di realizzazione e autonomia delle persone con disabilità che, in condizioni meno favorite, sono, invece, difficilmente raggiungibili. Lo sport costituisce uno dei potenti strumenti di inclusione che consente la creazione di un’identità positiva di sé e di accrescere così il benessere. Oltre alla riabilitazione fisica, produce, quindi, effetti positivi anche sulla sfera psicologica e morale, poiché consente di andare oltre il trauma subito e alleviare il disagio.
Fu un medico chirurgo, Ludwig Guttmann, direttore dell’ospedale di Stoke Mandeville, a introdurlo per la prima volta tra le proposte di riabilitazione e in seguito altri centri di riabilitazione per paraplegici iniziarono a far praticare attività sportive ai loro pazienti.
Tali attività assunsero presto carattere agonistico: nel 1960, per la prima volta, i giochi di Stoke Mandeville si svolsero nella stessa sede dei giochi olimpici. La Rai, che è stata la prima azienda televisiva a realizzare la trasmissione in diretta oltre i confini nazionali di una Olimpiade, seguì anche quelle gare che sarebbero poi diventate la prima edizione delle Paralimpiadi.
Alcuni quotidiani nazionali ed internazionali, anche sportivi, ignorarono l’evento o dedicarono pochissimo spazio, sia perché non la consideravano una manifestazione sportiva, sia per via di una mentalità diffusa di esclusione verso le persone disabili.
Papa Giovanni XXIII, invece, nell’udienza concessa ai partecipanti dei Giochi di Roma il 25 settembre valorizzò così l’esperienza: <<Avete dimostrato cosa può realizzare un’anima energica malgrado gli ostacoli, apparentemente insuperabili, che il corpo le oppone.>>
L’attenzione all’attività sportiva delle persone con disabilità negli anni ha mutato il suo linguaggio e le modalità del suo racconto televisivo.
Molta strada è stata fatta sia dandole maggiore rilevanza sia spostandosi dal registro narrativo dapprima venato di pietismo.
Negli anni 80 Luca Pancalli, allora nuotatore paralimpico, scrisse al presidente Pertini chiedendogli perché ricevesse solo la squadra olimpica.
In quegli anni i giornali parlavano delle Paralimpiadi titolando “Le olimpiadi del coraggio”:aumentava la conoscenza del fenomeno ma ancora non cambiava l’atteggiamento; un pietismo che – più o meno commosso – vestiva gli atleti paralimpici di panni assai poco sportivi, anche se una nuova narrazione provava a farsi strada. Inclusione significa presentare i partecipanti come veri atleti che rappresentano la propria nazione e le Paralimpiadi come un normale evento dello sport-spettacolo. A tal fine occorre che i giornalisti si soffermino sulla cronaca delle gare e non sull’eccezionalità dello sport in carrozzina.
Lo stupore nel vedere paraplegici che si cimentano nelle attività sportive, se, da un lato, è un riconoscimento della loro impresa, dall’altro, diventa uno disconoscimento delle pari opportunità rispetto ai normodotati.
La storia dei Giochi di Roma è stata ricostruita sulla base degli organi di informazione del tempo, compresi gli audiovisivi, e grazie ai mezzi di comunicazione si è potuto immaginare quale ruolo hanno avuto nell’evoluzione dello sport paralimpico, influenzando le più generali condizioni sociali delle persone disabili. In alcuni Paesi gli atleti che avevano partecipato ai Giochi ricevettero le congratulazioni delle istituzioni. La diffusione dello sport praticato dai disabili attraverso i media come spettacolo, oltre che come pratica amatoriale, ha agevolato la sua diffusione anche tra i disabili. Già da allora, dalle difficoltà incontrate dagli atleti paralimpici, soprattutto per quelli provenienti da delegazioni estere, emersero gli ostacoli posti dalle barriere architettoniche all’inclusione, che non consentono gli spostamenti autonomi per l’inadeguatezza dei mezzi di trasporto e la condivisione di spazi ed esperienze[1]. Trasformare – attraverso politiche e pratiche di accessibilità e integrazione dei soggetti disabili – le nostre città, le nostre scuole, i nostri musei e in generale la nostra società̀ in un luogo accogliente e realmente inclusivo è una grande sfida ancora in corso.
È pur vero che in tutto il mondo i paraplegici e gli altri disabili hanno acquisito man mano consapevolezza delle loro potenzialità e dei loro diritti. Il riconoscimento delle tutele sociali ed economiche progredisce e, gradualmente, la percezione della disabilità da parte dell’opinione pubblica si è modificata verso una maggiore accettazione. Inoltre, l’Associazionismo connesso agli sport paralimpici ha favorito l’evoluzione culturale e la creazione di una comunità e di una rete di supporto.
A sostegno di questa transizione culturale, la Rai, da oltre 20 anni, ha una rubrica dedicata agli sport Paralimpici: SportAbilia.
Un primo passo che coincise, nel 2000 a Sydney, con la prima copertura in diretta di parte dei giochi paralimpici; un primo passo cui ne seguirono altri, fino ad arrivare alle paralimpiadi invernali di Vancouver dove la Rai realizzò – prima al mondo – una copertura in diretta dei Giochi.
Il linguaggio era mutato e questo si conclamò due anni più tardi, a Londra 2012.
La Rai coprì quelle paralimpiadi come aveva fatto due settimane prima con le Olimpiadi.
Per la prima volta nella storia della televisione mondiale due broadcaster (la Rai e l’inglese Channel4) realizzarono una copertura completa.
Una regia a Londra per gestire i segnali, cronisti in postazione cronaca, telecamere e giornalisti in zona mista per le interviste in diretta.
Un punto di svolta sotto ogni aspetto, anche quello del linguaggio che fu utilizzato per raccontarle in 142 ore di trasmissione – un primato riconosciuto alla Rai dalla intera comunità radiotelevisiva europea – che hanno contribuito al più recente e radicale salto in avanti nella percezione comune della disabilità. Una differenza che ha valicato il perimetro di campi e piscine arrivando nella quotidianità di un intero paese.
La Rai ha mantenuto quel passo trasmettendo le successive paralimpiadi con lo stesso format e non solo. Ha raccontato in diretta campionati europei e mondiali di nuoto, atletica, sledge hockey, paraciclismo, paracanoa, canottaggio e molto altro.
Gli atleti paralimpici sono diventati protagonisti di Spot, conduttori televisivi, testimonial di campagne pubblicitarie.
Solo 60 anni fa gli atleti in carrozzina venivano raccontati con commossa desolazione – oggi come campioni capaci di imprese sorprendenti; questo, anche grazie alla televisione che, da un certo punto in poi, ha saputo dare pari copertura e pari dignità allo sport paralimpico che, non per caso, declina nel suo statuto un concetto fondamentale per comprendere l’importanza della diffusione dell’attività sportiva paralimpica, ovvero abbattere i pregiudizi.
Raccontare lo sport paralimpico come si fa con quello olimpico non è solo una questione di lessico e registro. È una battaglia contro il pregiudizio e l’esclusione.
Lo sport introdotto nella prospettiva della medicalizzazione, come terapia riabilitativa, considerava il praticante come un paziente; invece, nel tempo, la diffusione di uno spirito agonistico ha permesso anche ai disabili di esprimere le loro capacità e indossare la veste di vero sportivo, non più paziente, con effetti positivi sull’aspettativa di vita. “Maglio, un consulente dell’Inail seguace delle idee di Guttmann, riteneva che lo sport fosse un insostituibile elemento per irrobustire i corpi e i caratteri, elementi congiunti, che fanno scattare la molla della volontà verso una vita che vale ancora la pena di essere vissuta, perché attraverso l'agonismo sportivo si sviluppano la volontà di agire, il desiderio di vincere e il bisogno di affermare la propria personalità; si stimolano le risorse morali e volitive che debbono essere recuperate, rieducate, riabilitate al pari dei muscoli ed è proprio attraverso lo spirito agonistico che ciò avviene in maniera più facile e più gradita alla personalità dell'invalido”[2]. In realtà, le esperienze che vanno ancor di più nella direzione dell’inclusione sono quelle che vedono confrontarsi atleti normodotati con atleti paralimpici, anche amatoriali, apponendo loro gli stessi vincoli, ad esempio la pallacanestro in carrozzina o lo sledge hockey.
Un altro passo è stato fatto, andando anche oltre lo sport agonistico, con l’inserimento nel vocabolario Treccani di una nuova e più ampia definizione di “paralimpico”, che comprende non solo gli atleti partecipanti alle Paralimpiadi, estiva o invernale, ma anche ogni persona con disabilità che pratica sport, includendo gli atleti di livello che gareggiano in forma agonistica, ma anche tutte le persone con disabilità che praticano una disciplina sportiva, senza una particolare differenza basata sui risultati raggiunti e sulla spettacolarizzazione: “eroi anonimi che non sono altro che me e voi, con qualcosa in meno di noi, ma anche qualcosa in più.[3]”
Su Rai Sport è disponibile una puntata[4] del 1° aprile 2022 dedicata a SportAbilia, un resoconto del percorso dell’Italia alle Paralimpiadi di Pechino. Il bilancio è positivo per gli azzurri, che hanno portato all’Italia 7 medaglie.
Lo sciatore di Cavalese Giacomo Bertagnolli, a causa del Covid, si è perso tre gare su cinque: discesa libera, super G e la super combinata, ma ha vinto l'oro al Mondiale paralimpico in Norvegia, accompagnato dalla guida, nel gigante di Lillehammer, categoria visually impaired (disabili visivi). E poi ci saranno i giochi invernali Milano Cortina 2026.
Renè De Silvestro, che si è ritrovato su un monosci dopo una caduta in allenamento nel 2013, è tornato dalle paralimpiadi di Pechino con due medaglie nello sci alpino categoria sitting, un argento in gigante e un bronzo in slalom. «Se ce l’ho fatta io, potete farcela anche voi» ha detto a Pechino rivolgendosi a ragazzi nella sua stessa condizione. Un messaggio potente che le paralimpiadi diffondono nei cuori di tante persone anche non disabili. Come Giuseppe Romele, che ha conquistato il bronzo nello sci nordico e successivamente ha collezionato altri successi nella Paratriathlon e ha dichiarato che quando ha provato questa disciplina ha subito sentito dentro di sé una grande sensazione di libertà.
Inoltre, il racconto dello sport ha incrociato la guerra. Infatti, atleti russi e bielorussi sono stati costretti ad abbandonare i Giochi; invece, gli ucraini hanno vinto a pugno chiuso con il grido di Pace di Andrew Parsons, presidente del Comitato Paralimpico Internazionale, alla cerimonia d’apertura.
Insieme alle testimonianze in altre discipline, come il para snowboard, il para ice hockey e il baseball dei non vedenti, le paralimpiadi dimostrano che lo sport, da terapia, diventa messaggio di ribellione, rinascita e speranza.
Alla ricerca dell’Inclusione: questione di sguardi e linguaggi nuovi
Vi proponiamo un’attività[5] finalizzata alla sensibilizzazione ed empatia della condizione della disabilità, non solo delle difficoltà ma anche delle risorse emergenti per compensare il deficit, e addirittura grazie ad esso.
® PRIMO INCONTRO (1 ora circa)
In questa prima fase l’obiettivo è immedesimarsi nel vissuto quotidiano di un soggetto disabile, in particolare la cecità, inclusa tra le categorie di disabilità[6] negli sport per disabili.
Per svolgere l’attività:
A: Accompagnatori
B: Bendati.
Nel sottogruppo B indosseranno una benda nera che impedisca loro la vista.
- l’accompagnatore guida e descrive per l’altro il percorso in modo da dare sicurezza all’altro;
- la persona bendata sperimenterà, invece, il senso di straniamento spaziale e l’utilizzo degli altri canali sensoriali.
L’accompagnatore dovrà, perciò, riflettere sul linguaggio da utilizzare, un linguaggio sintetico e appropriato, ma arricchito, per far vivere un’esperienza completa, imparare ad osservare, descrivere l’ambiente e i suoi ostacoli. Ciò lo aiuterà a comprendere meglio le difficoltà che l’altro deve affrontare, a entrare in empatia con i bisogni dell’altro e imparare quanto siano fondamentali dettagli, misure e proporzioni degli spazi, dislocazione e orientamento degli oggetti. Dovrà tradurre le informazioni visive in parole, scegliendo sostantivi, aggettivi e verbi appropriati, descrittivi e immediatamente comprensibili e integrando nella descrizione verbale informazioni collegabili ad altri sensi come l’udito, il tatto, l’olfatto o il gusto per stimolare la percezione dei sensi. Deve essere un linguaggio inclusivo, che cioè sia in grado di mettere alla pari i due soggetti. Un linguaggio in cui non ci sia pietismo per l’impedimento dell’altro ma lo spirito di scoperta per entrambi.
® SECONDO INCONTRO (1 ora, se il materiale viene visionato prima dell’incontro)
Su RaiPlay è possibile vedere numerosi programmi, tra cui le storie dei campioni delle paralimpiadi, che incarnano concretamente questa battaglia e questo cambio di paradigma e la possibilità di rinascita. Le seguenti fonti potrebbero essere utilizzate come materiale per un laboratorio:
Bebe Vio, oro nella scherma alle Paralimpiadi di Rio 2016, indossa per la prima volta le inedite vesti di conduttore televisivo.
Nel corso di sei appuntamenti, Bebe Vio accoglie nella sua casa personaggi dalla vita straordinaria appartenenti al mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo ascoltandone le confidenze.
A questo link tutte le puntate: https://www.raiplay.it/programmi/lavitaeunafigata.
In particolare, in questa puntata: https://www.raiplay.it/video/2017/11/La-vita-e-una-figata-b86ce58d-5617-40cb-9043-bc98b9b7efa3.html accoglie Oney Tapia, un atleta (non vedente) paralimpico, nel lancio del disco e nel getto del peso.
"O Anche No" è un programma di Rai 2 dedicato all'inclusione sociale e alla disabilità, realizzato con la collaborazione di Rai per il Sociale e Rai Pubblica Utilità.
Nella puntata del 29 Aprile 2022 (visionabile al seguente link: https://www.raiplay.it/video/2022/04/O-anche-no---Puntata-del-29042022-b0d4c2f4-21c6-4c07-b98a-9ffd17313626.html), è presente un’ intervista a Marco Dolfin, campione paralimpico e chirurgo in carrozzina, protagonista del libro "Iron Mark. Le corsie di Marco Dolfin: chirurgo e nuotatore". Nella stessa puntata l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII dedicherà un pensiero alla situazione che sta attraversando il popolo ucraino, saranno riproposte le quattro storie di lavoro e di successo che vedono protagoniste persone con disabilità ed altre iniziative di sensibilizzazione ed incoraggiamento dedicate alle persone con disabilità, che possono insegnare molto a tutti.
Raccontiamo i Nuovi Eroi del nostro tempo, ovvero cittadini insigniti dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con l'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Alcune volte le loro storie sono salite alla ribalta della cronaca, altre volte no.
A questo link è possibile vedere la puntata con Monica Contrafatto: https://www.raiplay.it/video/2019/01/Nuovi-Eroi-4ba3f17b-8191-408f-9b45-42c43d15cd61.html .
Monica Contrafatto nasce in Sicilia e fin da piccola si definisce un "maschiaccio" e quando vede i bersaglieri capisce che vuole diventare un soldato. Si arruola e inizia ad essere inviata in missione all'estero. Durante una di queste, in Afghanistan, un attentato le costa la perdita di parte della gamba. Mentre si trova in ospedale vede in TV le Paralimpiadi e decide di dedicarsi allo sport. Dopo anni di allenamenti riesce a coronare il suo sogno vincendo la medaglia di bronzo dei 100 metri a Rio 2016.
Valutare se si ha la possibilità di visionare tutti insieme il materiale scelto oppure dare il compito di visionarlo prima dell’incontro.
® Condividere volontariamente il lavoro svolto nei sottogruppi
® Capire quali approcci – apparentemente innocui – non son altro che la interiorizzazione di ingiuste convinzioni ed estrapolare una sorta di patto nell’adottare parole e comportamenti specifici che esprimano inclusione.
® TERZO INCONTRO
Realizzare un artefatto su quanto emerso nei precedenti incontri (uno o più post sui social, un cartellone, un video, una canzone, una poesia, un disegno, un collage fotografico) con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e diffondere messaggi di speranza e responsabilità.
[1] Citato in ‘Alle origini delle Paralimpiadi. I “Giochi internazionali per paraplegici” di Roma 1960’, Erminio Fonzo Ricercatore Università degli Studi di Salerno, Università degli Studi di Salerno · Department of Humanities, Philosophy and Education, ICSR (International Center for Studies & Research), Mediterranean Knowledge – Working Papers Series - VOL. 6 (2021), N. 1
[4] https://www.raisport.rai.it/video/2022/04/sportabilia-puntata-1-aprile-2022-lorenzo-roata-paralimpiadi-invernali-pechino-50f58a28-7593-4473-ab64-92e3df017ec8.html
[5] Questa attività si ispira a “Lezione al buio. Percorsi inclusivi al Museo della Scuola, di Anna Ascenzi, Marta Brunelli uno dei Percorsi laboratoriali nel segno dell’Inclusione inclusi in “IN AZIONE - PROVE DI INCLUSIONE” A CURA DI CATIA GIACONI, NOEMI DEL BIANCO collana “traiettorie inclusive” FrancoAngeli Open Access
[6] Esiste una classificazione ufficiale per gli sport per disabili (https://it.wikipedia.org/wiki/Categorie_degli_sport_per_disabili) in cui sono specificate le categorie per gli sport per disabili, basandosi sulla tipologia ed il grado di handicap degli atleti.