di Tommaso Strambi
“Sentiamo un esperto”. Quando nelle redazioni il direttore o il caporedattore centrale pronuncia queste parole ci sono alcuni giornalisti che si fanno di nebbia. Ovvero, si volatilizzano prima che lo sguardo finisca su di loro. E, forse, non hanno tutti i torti. L’intervista all’esperto rappresenta un escamotage per uscire dall’angolo in cui si è finiti. Anche perché, nella maggior parte dei casi, si tratta di pezzi di “appoggio” rispetto ad una notizia (incidenti mortali del sabato sera, femminicidi, omicidi-suicidi in ambito familiare, baby gang, epidemie o altre emergenze sanitarie). Tutto questo ha portato all’inflazione di questo strumento comunicativo. In realtà, invece, l’intervista rappresenta da sempre uno strumento fondamentale attraverso cui il giornalista può far conoscere un determinato personaggio, scandagliare e approfondire un argomento complesso. E fare un’intervista non è semplice, né banale. Anzi. Bisogna saperle farle. E questo come in tutte le cose richiede avere la padronanza del mestiere, la capacità di documentazione, la malizia di inserire domande trabocchetto che inducano l’intervistato ad aprirsi, a lasciarsi andare, a raccontare quell’aneddoto che vale la lettura. Come quelle che hanno scritto nel corso della loro carriera Oriana Fallaci (leggendaria resta quella con leader palestinese Yāsser ʿArafāt nel 1972), Eugenio Scalfari (le antologiche interviste ai potenti della terra), Enzo Biagi o Giovanni Minoli nelle loro trasmissioni televisive. Ma anche quelle di Aldo Cazzullo, di Stefano Lorenzetto o Daria Bignardi.
Insomma una buona intervista non nasce da sola, bisogna costruirla con molta meticolosità, cura e curiosità. Solo così si saprà catturare l’attenzione del lettore o dell'ascoltatore dalla prima all’ultima parola che rappresenta sempre la vera sfida di un giornalista.
Come si costruisce, dunque, un’intervista?
Il primo passaggio è quello della preparazione a cominciare dallo studio dell’argomento da affrontare oltre che il profilo dell’intervistato, ma anche capire come approcciarsi a lui e metterlo a suo agio. Solo dopo si stila una scaletta delle domande, cercando anche di immaginare in che direzione possano andare le risposte dell’interlocutore. In via generale, meglio iniziare con domande più soft e inserire le questioni più pungenti nel mezzo o alla fine, quando l’ambiente si sarà già “riscaldato”.
Il secondo passaggio è dove e come realizzare l’intervista. La cosa migliore resta quella di farla di persona, magari nell’ambiente dell’intervistato: se si spera di portare a casa uno scoop, probabilmente, fare l’intervista faccia a faccia, di presenza o in digitale, o al massimo in video chiamata può aiutare il giornalista a perseguire il suo obiettivo, perché l’intervistato ha meno tempo per pensare alle risposte da dare ed è quindi più “genuino”.
Il terzo passaggio è quello più importante: quello in cui si realizza l’intervista. Un buon consiglio quello di iniziare la conversazione sempre con domande di circostanza che aiutino a creare un clima di empatia con l’intervistato e solo dopo partire con l’intervista vera e propria. Solitamente si comincia seguendo il proprio canovaccio, ma l’intervista è un confronto aperto e le reazioni dell’altra non sono sempre prevedibili. In queste situazioni il giornalista dovrà mantenere la calma e trovare la giusta strada: ecco perché è fondamentale lo studio approfondito dell’argomento così da padroneggiare la materia e destreggiarsi in caso di difficoltà.
Il quarto passaggio attiene alla deontologia del giornalista. L’intervista dev’essere registrata? La risposta è sempre sì, nell’interesse di giornalista e intervistato. Nel momento in cui il giornalista si presenta come tale e l’intervistato decide di parlargli, è come se tra i due si sugellasse un patto che entrambi devono rispettare: il primo si impegna a scrivere solo quello che gli viene raccontato, il secondo a dire “la verità”. Nel caso in cui l’interlocutore decidesse di rivelare delle informazioni in forma confidenziale, il giornalista è obbligato a rispettare la riservatezza delle sue fonti. Mentre scriverà la sua intervista, userà forme come “lo ha detto una fonte vicina a…”, “ha riferito l’insider”, oppure degli pseudonimi. Questo però prescinde dalla registrazione della conversazione, che non verrà quindi divulgata, ma rimane un mezzo a disposizione del giornalista e dell’intervistato per verificare la corrispondenza tra quanto detto e quanto scritto.
Il quinto passaggio è quello finale, ovvero in cui una volta completata la chiacchierata il giornalista inizia a rielaborare il materiale raccolto e a condensarlo nello spazio (una pagina di giornale è sempre uno spazio finito e lo stesso vale per il tempo in radio o in televisione. Qui entra in campo la professionalità del giornalista che è chiamato a selezionare sulla base di una gerarchizzazione gli elementi più importanti (o, se preferite, più succulenti) così da incollare il lettore o l’ascoltatore al proprio ‘”pezzo”. L’elemento da non dimenticare mai è che si scrive per gli altri, per informarli, per svelare loro magagne nascoste, per difendere la verità. Il buon giornalista fa immergere il lettore nella questione con immagini vivide e dati, evita le frasi fatte, usa un linguaggio preciso ma non eccessivamente tecnico. Questa è la vera chiave per scrivere un’intervista di successo.