Disordine informativo

Poche e chiare regole per contrastare in disordine informativo

Disordine informativo

di Carlotta Bizzarri, Docente e assegnista di ricerca presso l’Università degli studi di Firenze

Articolo di riferimento: https://giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com/2021/01/10/il-circolo-vizioso-di-rabbia-e-disinformazione/

Parlare di disordine informativo ci richiama alla mente il “disordine alimentare” una condizione, in entrambi i casi, di disfunzionamento del nostro organismo. Il secondo dovuto al modo in cui nutriamo il nostro corpo, il primo al modo in cui nutriamo la nostra mente. Tuttavia con un comune denominatore alla base: un sentimento di rabbia. Troppe informazioni, troppe fonti informative, poco tempo e scarse competenze specifiche ci impediscono di metabolizzare le notizie e di trasformarle in conoscenze.

Il termine disordine informativo, che comprende e va oltre la produzione e la diffusione di fake news - le cosìdette “bufale” - racchiude un insieme di meccanismi informativi top-down (dai media ai cittadini) e di comportamenti di gestione delle notizie bottom-up (dai cittadini tra loro e verso le istituzioni) che alimentano il caos informativo e governano ri-sentimenti sociali, politici ed economici.

Cerchiamo di approfondire la galassia di concetti che ruota attorno al disordine informativo.

 Partiamo dalla “disinformazione”, ovvero dalla condivisione di informazioni false con lo scopo di creare confusione, danno e orientare l’opinione pubblica. Si produce deliberatamente disinformazione dall’alto. Partiti, aziende, lobby utilizzano le notizie false per orientare il voto dei cittadini o i comportamenti d’acquisto. Di fake news ha parlato per la prima volta Hilary Clinton durante la campagna elettorale americana del 2016 sulla base del clima d’odio mediatico dilagante. 

L’intelligenza artificiale è la chiave d’accesso. Gli algoritmi “suggeriscono” agli utenti tramite i social ed i motori di ricerca notizie “che sembrano vere” sulla base dei loro interessi, delle loro idee. Testi, immagini e video montati e ritoccati da software per ottenere più visualizzazioni. Un esempio sono i deep fake, ovvero video in primo piano che fanno esprimere a personaggi famosi e politici dichiarazioni false modificando i pixel, ovvero parti dell’immagine digitale non distinguibili dall’occhio umano. Tra gli utenti la logica della condivisione, del click immediato ed il meccanismo dei like propaga involontariamente contenuti fasulli. 

Si crea dal basso la “misinformazione” ovvero la condivisione di notizie non verificate che, inconsapevolmente, reca danno. La misinformazione fa eco in quelle che definiamo “bolle informative” ovvero quelle cerchie sociali digitali e fisiche di persone e contatti che la pensano come noi, da cui recuperiamo le informazioni che ci servono e che rafforzano le nostre convinzioni, escludendo l’opportunità di assumere un punto di vista diverso. 

Infine, la pubblicazione di fatti basati sulla realtà e fughe di notizie appositamente studiate per danneggiare l’immagine di singoli, comunità, prodotti o aziende è la “malinformazione”. Una causa-effetto della malinformazione sono i casi di doxing o leaks, ovvero la divulgazione di dati coperti dalla privacy e documenti riservati che danno vita a inchieste mediatiche prima ancora di quelle giudiziarie.

Orientarsi in questa galassia senza disperdersi nella nebulosa della disinformazione non è banale, ma per cercare di ridurre la complessità potremmo partire dalla ricetta delle tre T: Tempo, Tecnologia, Testa.

 Tempo. Arginare la velocità informativa cercando di: 1) non cedere alla velocità del click e della condivisione immediata di fronte a notizie i cui titoli siano sensazionalisti e le immagini o i video eclatanti; 2) non soffermarsi sulla notizia che ci arriva, ma cercare “attivamente” le informazioni che servono confrontandole con altre ricerche in rete; 3) non indugiare su notizie ridondanti o di cui non abbiamo bisogno. 

Tecnologia: Comprendere i passaggi che ci sono tra noi e l’informazione, verificando: 1) la fonte da cui ho ricevuto la notizia è diretta o no (es. il post riporta il link alla notizia o solo un commento); “2) le specifiche tecniche (es. il link della fonte corrisponde a una testata o blog conosciuto; la formattazione della notizia è corretta;); 3) più fonti e mezzi di comunicazione (es. la notizia che mi interessa la ritrovo in tv, sui social, alla radio).

Testa. Analizzare criticamente ciò che leggo o vedo, interrogandosi su: 1) le bolle informative (l’utente che l’ha condivisa lo conosco personalmente, è affidabile o esperto in materia oppure il giornalista  che ne parla si è già occupato dell’argomento, la fonte da cui mi informo è sempre la solita); 2) i contenuti (sono credibili, sono assimilabili a pubblicità, sono eccessivi o trascurabili, violano la privacy); 3) i sentimenti (il racconto dei fatti è scritto con rabbia, violenza, esaltazione e/o suscita paura, indignazione, entusiasmo).

La ricetta delle tre T ci permette di visualizzare alcuni passaggi chiave da attivare nel percorso quotidiano di contrasto al disordine informativo. Tuttavia è bene ricordare, come evidenzia il rapporto Ital Communication-Censis 2021, che affidarsi al giornalismo professionale è il primo antidoto contro la cattiva informazione, ma l’attendibilità del sistema mediale talvolta è messo a rischio da un insieme di fattori tra cui la contrazione degli organici, la riduzione degli investimenti, la moltiplicazione delle fonti informative e dall’accorciamento della vita media delle notizie.